Umberto Ratti

Umberto nasce il 20 Settembre 1920. Caporal Maggiore durante la seconda guerra mondiale sul Fronte croato, fu deportato in Austria nel campo di Mauthausen ed in seguito trasferito in Germania nelle Miniere di carbone di Essen. Dal 1946 è stato iscritto all’ANPI di Cesano Maderno e ricopriva la carica di Presidente Onorario. Gli amici della Sezione lo consideravano non solo la “memoria storica” di quei terribili anni, ma un punto di riferimento importantissimo per il suo impegno di volontariato. Presente a tutte le manifestazioni e celebrazioni, si è occupato fino alla finea della sede di Corso Libertà, seguendo con attaccamento tutti gli iscritti. Non passava incontro o ritrovo in cui non raccontasse della sua prigionia, della vita da deportato. Spesso, rievocando quel periodo, si commuoveva, come fossero stati accadimenti recenti, non di così tanti anni prima.

Viene reclutato nell’esercito nel 1941, nel Reggimento di Cavalleria “Saluzzo”. Dislocati in Croazia, alla fine del settembre 1943, nazisti e fascisti li rinchiudono per circa una settimana in una caserma a Trieste. Requisiti tutti i cavalli e spediti in Austria, arriva il loro turno: vengono caricati sui vagoni bestiame. Destinazione: il campo di concentramento di Mauthausen.

Alla sosta di Tarvisio, persone del posto accorrevano a salutare gli sventurati e li invitavano a scrivere a i loro cari. A loro consegna un biglietto per la madre che le verrà recapitato. Il viaggio dura circa una settimana, senza mangiare, eccetto saltuariamente un mestolo di brodaglia di rape. Una volta ogni due giorni venivano fatti scendere dal treno per i bisogni fisiologici. Nel frattempo i soldati tedeschi pulivano con gli idranti gli angoli dei vagoni. Sporchi, stanchi ed affamati, all’arrivo a Mauthausen vengono divisi da una parte i soldati semplici, da un’altra gli ufficiali. Rimangono reclusi in una baracca, dove si dormiva per terra, per circa quindici giorni. Viene scelto un blocco di prigionieri da spedire ad Essen in Germania, nelle miniere di carbone. Lì, Umberto rimarrà fino alla fine della guerra. Si scendeva cento metri sotto terra per prendere il carbone. Alla sera bisognava fare cinque chilometri a piedi per rientrare nelle baracche, infettate da cimici e pidocchi. Si mangiava solo a mezzogiorno: riempivano di brodaglia la ciotola personale, che ogni deportato aveva legata a sé. Il Sabato si lavorava solo mezza giornata, dunque si approfiittava per fare il bucato con l’acqua che fuoriusciva dai tubi, riscaldati dal forno che bruciava il carbone. Dalla combustione si otteneva la trasformazione dei derivati (naftalina, gas, ecc). Due operai tedeschi, Franz e Schmit, lo avevano scelto per lavori di supporto alla loro fabbrica (lavori molto pesanti, tipo trasporto di bombole di gas, traino di vagoni merci, ecc). Lo ricambiavano con pezzetti di pane e burro. Inoltre, gli avevano regalato un piccolo dizionario italiano-tedesco, che Umberto leggeva alla sera in baracca di nascosto: si rischiava la fucilazione. Nel Dicembre 1944, una forte nevicata aveva imbiancato il campo; c’erano almeno cinquanta centimetri di neve. Dall’altra parte del campo,

nelle baracche delle donne, c’erano delle prigioniere dell’Ucraina che avevano regalato ad Umberto e agli altri compagni dei semi di girasole. Mangiati con avidità, rimasero sulla neve le bucce. In piena notte i nazisti irruppero a bastonate nella baracca e li buttarono fuori per schiacciare le bucce di girasole che erano rimaste sulla neve. Umberto, per scansare i colpi, fuggì all’esterno senza mettersi gli zoccoli, quindi dovette lavorare sulla neve a piedi nudi.

Nel 1945 si sentivano i bombardamenti degli americani. Suonavano le sirene e dovevano correre al rifugio. Man mano che gli americani avanzavano, i nazisti scappavano. I prigionieri, rimasti senza carcerieri, attraversarono il fiume. Quando videro una fiila di carri armati americani, si avvicinarono. Alcuni soldati americani erano di origine italiana. Regalarono loro scatolette di carne, cioccolata, sigarette. Arrivarono anche i soldati inglesi che li trattarono con un po’ di umanità. Furono loro a farli ripartire per l’Italia.

Da uomo libero Umberto svolgerà con passione la sua attività di artigiano falegname e si sposerà il 24 Settembre 1949 con Isolina Cesana: nasceranno Mariangela e Claudia. La sua è una famiglia segnata dal lutto del cognato Claudio Cesana, fucilato a 21 anni nel 1945 dai nazisti nell’eccidio di Pessano con Bornago.

Ci lascia il 25 ottobre 2011, a seguito di un incidente casalingo in cui riporta un forte trauma alla testa.

A dargli l’ultimo saluto insieme alla famiglia sono presenti numerosi cittadini cesanesi, rappresentanti delle autorità e associazioni cittadine, L’ANPI provinciale, e naturalmente gli amici dell’ANPI di Cesano Maderno, per sempre grati del grandioso contributo che Umberto, con la sua dedizione, umanità e simpatia, ha saputo dare all’Associazione dei Partigiani nel corso di tantissimi anni.